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Fontana Liri è un Comune di 2.932 abitanti, situato su una collina sovrastante il fiume Liri, sulla sponda che collega Arce ad Arpino. Il paese è diviso in due centri abitati: il nucleo più antico nella parte superiore, e quello più moderno nella parte inferiore, con una gradinata panoramica di 300 scalini in pietra che unisce i due centri. La parte superiore è posta sulla sommità di una collina mentre la parte inferiore della città ha cominciato ad avere la sua importanza a partire dalla fine del secolo scorso, quando vi fu impiantato il Regio Polverificio dell’Esercito. Era noto in epoca romana con il nome di “Laterium” e rientrava nell’ “ager arpinas” (territorio arpinate) ed è occupato da rilievi collinari, in buona parte coperti da terreni seminativi, frutteti, oliveti e vigneti, testimonianza, tra l’altro, della mitezza del clima. Tra le attrattive naturali spiccano il corso del fiume Liri, che dà il nome al paese, il Rio Arimucci, nell’ area wilderness, ed il laghetto, detto “Lago Solfatara”, ubicato nella zona dove si narra sorgesse l’imponente dimora di Scipione l’Africano; la “Fossa del monte”, fenomeno “carsico” che si apre a metà della collina chiamata “Le Cese”. Il Comune è stato insignito della Medaglia d’Argento al Merito Civile poiché, durante la Seconda Guerra Mondiale, in seguito all’ occupazione dell’esercito tedesco, numerosi fontanesi parteciparono attivamente alla Resistenza unendosi ai nuclei partigiani, e fornendo riparo ai militari fuggiti dai campi di concentramento, dando prova di coraggio e spirito di abnegazione. Fontana Liri è, inoltre, terra d’ origine di illustri personaggi; lo scultore Umberto Mastroianni (uno dei più grandi artisti del ‘900) che ha realizzato numerose opere ispirate alla Resistenza (di cui fu attivo militante), il celebre attore Marcello Mastroianni, in onore del quale si tengono numerosi eventi culturali, ed il chimico Nicola Parravano, illustre professore all’ Università di Roma e Accademico d’Italia. Tra le sue molteplici indagini, particolarmente originali furono i suoi studi sui sistemi a quattro componenti nelle leghe metalliche. Infine è da considerarsi fontanese il poeta e scrittore Cesare Pascarella, che, anche se effettivamente nato a Roma, era oriundo di Fontana Liri, dove avevano abitato i genitori Pasquale e Teresa Bosisio.
STORIA
Uno dei più antichi siti umani d’Italia
Sino al 1970, non si conoscevano in tutto il Lazio rinvenimenti preistorici risalenti al PreAcheuleano. Fu merito di Italo Biddittu, dell’Istituto di Paleontologia Umana di Roma, l’aver individuato, in bacini aperti sulla Valle del Liri, ad Arce e a Fontana Liri, giacimenti con industrie litiche di quel lontano periodo del Paleolitico inferiore.
Si tratta di un’industria su ciottoli calcarei ben ovalizzati; essa appare priva di bifacciali e vi si distinguono choppers e strumenti su scheggia. Il tipo di lavorazione è riferibile alla Pebble Culture africana (Olduvai, ecc.), con manifestazioni che giungono sino a due milioni e mezzo di anni fa e sono presenti anche in Europa. L’insieme dei ritrovamenti, collocabili cronologicamente, con sofisticati metodi moderni (potassio radioattivo) al Mindel, secondo periodo glaciale (oltre 700.000 anni fa), conferma la precoce diffusione degli Ominidi nel Quaternario italiano.
A Fontana Liri superiore, sono stati raccolti diversi strumenti nelle contrade Pozzo e Cavilli, ad una quota di ca. m. 370: vi sono frequenti gli “spicchi” e quindi i coltelli e le schegge a dorso naturale, così come si riscontra una buona presenza di raschiatoi laterali e trasversali (con ritocchi spesso denticolati) e di troncature, ma anche di percussori e di rari discoidi. Per diversi motivi tecnici, i reperti appaiono meno arcaici rispetto a quelli di Arce (contrada Torti, a 2 Km. dal paese, sulla sinistra della strada che sale a Rocca d’Arce), dove predominano le calotte.
Un carattere interessante di questa industria, piuttosto primitiva, è l’uso della tecnica bipolare; la percentuale più alta di strumenti è però costituita da ciottoli che presentano, ad un ‘estremità, il distacco di un’unica scheggia.
Mentre anche i rinvenimenti di Castro dei Volsci si inquadrano nel Mindel, secondo glaciale, quelli di Ceprano (Fosso Meringo), associati a consistente fauna (Rinoceronte etrusco, Ippopotamo sp., ecc.), sono più antichi, appartenendo al Cromeriano (Gunz-Mindel, primo interglaciale), con una datazione di 750.000 anni.
Sempre a Italo Biddittu si deve un importante rinvenimento di ceramica dell’età del bronzo, avvenuto lungo la scarpata della strada statale Valle del Liri, al bivio per la contrada Colli, nel comune di Fontana Liri, in una sezione del travertino effettuata in seguito a lavori stradali.
I reperti si possono riferire ad un insediamento di breve durata, situato sulla via di transito lungo il Liri, che collegava il bacino Lirino a quello di Sora.
I frammenti ceramici di impasto sono cronologicamente inquadrabili nella fase di passaggio tra antica e media età del bronzo (1600-1500 a.C.) e mostrano affinità con la fase definita “Proto appenninico B”. Si rileva la presenza di: ciotole carenate con diametro massimo alla carena, che possono essere decorate con linee incise a zig zag o avere anse a nastro sormontate da sopraelevazioni aliformi; grossi contenitori, a volte decorati con cordoni “a ditate”; mollette; ciotole; prese di vario tipo: a linguetta, una a rocchetto, una trapezoidale; frammenti di fondi, di pareti, di orli (su alcuni dei quali si osservano piccole tacche o impressioni digitiformi).
Si precisa che il motivo ornamentale di linee incise a zig zag sembra richiamare un parallelismo con la cultura di Capo Graziano, diffusa nell’Italia centro-meridionale.
Dall’età romana all’alto medioevo
In una lettera al fratello Quinto, Marco Tullio Cicerone riferisce su un viaggio da lui compiuto nel settembre del 54 a.C., dalla sua residenza arpinate, alle foci del Fibreno, per visitare alcune ville di proprietà dello stesso fratello (Laterium, Arcanum, Manlianum, Fufidianum.). Nella lettera egli riporta diverse indicazioni riguardanti il Laterium: l’accesso a questa località gli appare particolarmente comodo, così da poter sembrare una “strada pubblica”, ad eccezione di un tratto di via di 150 passi molto ripida, che partiva dal ponticello posto vicino al tempio della dea Furina e rivolto verso Satricum. Questo insediamento (da non confondere con l’altro centro volsco identificato nel Lazio centrale, vicino ad Anzio, in località Borgo Le Ferriere), secondo F. Coarelli, dovrebbe individuarsi presso Boville Ernica.
Lo stesso Cicerone, in un’altra lettera indirizzata ad Attico (nel 56 a.C.), scrive che proprio in relazione al Laterium era sorta una grande agitazione fra gli Arpinati e questa annotazione fa pensare che il Laterium potesse essere allora un pagus di Arpino (municipium). Oltre alla citazione di una locale villa di Quinto Cicerone, occorre considerare anche l’indicazione fornitaci da un’iscrizione romana (C.LL. X, 5670), rinvenuta “in villa Laterina”, presso la chiesa dì “Santa Maria Zapponi”, che verosimilmente era situata nell’area del Polverificio militare di Fontana Liri. Non è chiaro se quella dell’iscrizione C.I.L. fosse la stessa villa di Quinto Cicerone (anche se con diverso proprietario) o un secondo complesso residenziale.
Comunque sia, si conferma l’ipotesi, avanzata da diversi studiosi, che il Laterium coincidesse con l’attuale territorio di Fontana Liri e si sottolinea come esso, per la sua felice posizione, fosse stato scelto per la costruzione di una o più ville. Suggestiva, in questo senso, è la presenza, nelle vicinanze, del toponimo “Costa Laterno”, così come, a Cassino, dell’iscrizione C.I.L., X, 5160, in cui si menziona un Q. Laterinus.
Alquanto azzardate si rivelano, tuttavia, ulteriori precisazioni, riguardanti la localizzazione del ponticello e del tempio (o luogo sacro?) della dea Furina, formulate dal Giannetti. Interessanti sono poi le indicazioni, date sempre da Cicerone, circa una via Vitularia e la sua diramazione Vitulina, sul percorso delle quali nulla si può dire con sicurezza, pur restando fermo il fatto che sicuramente un percorso antico collegava Arpino alla Via Latina, attraverso il Laterium.
Ferdinando Pistilli, nel 1798, riportava che presso il laghetto di Fontana Liri erano venuti alla luce resti di “fabbriche”, frammenti di pavimenti musivi, colonne spezzate e lapidi, ma proprio la citazione delle “iscrizioni” al plurale fa pensare che potessero esservi sul lago avanzi di monumenti romani, schierati lungo il già citato percorso, più che emergenze di una villa.
Presso la chiesa di San Silvestro, intorno agli anni 80, si trovò un dolio, ora in possesso di un privato, mentre un tratto dell’antico percorso per Arpino, sino a pochi anni or sono, era rintracciabile presso il campo sportivo.
A questa antica strada si ricollega un importante rinvenimento avvenuto in contrada “San Paolo- Fontana Isa”.
“Nel Museo di Casamari è conservata un’ARA DI ISIDE, alla quale aveva già fatto cenno W. Hermann, scrivendo che essa era stata trovata in comune di Fontana Liri. Più tardi S. Panciera, erroneamente, ha affermato che l’ara era venuta alla luce sulla riva destra del Liri, presso l’Anitrella, e che pertanto essa doveva porsi fra le iscrizioni del municipium di Cereate Mariane. Infine, recentemente, quale luogo di provenienza, è stata indicata da A. Giannetti la contrada San Paolo di Fontana Liri e, con maggior precisione, le adiacenze della chiesetta di San Paolo.
Per effettuare una verifica delle condizioni del ritrovamento, ho eseguito una ricognizione sul posto, raccogliendo diverse notizie dai membri delle famiglie Battista e Bianchi, abitanti nella zona. Risulta che la chiesetta di San Paolo venne ricostruita nel 1935, sul bordo dell’attuale strada che da Arpino porta a Fontana Liri. La vecchia chiesa, di forma absidata, era spostata di una ventina di metri a nord ovest (in un terreno di proprietà del Sig. Pasquale Giannetti) e, quando fu abbattuta, dalle sue fondamenta vennero estratti diversi grandi blocchi calcarei. L’ ara è invece venuta alla luce nel 1948, a una ventina di metri a nord est dalla chiesetta, durante i lavori per impiantare un vigneto, ad una profondità di quasi due metri (in un terreno di proprietà del Sig. Giuseppe Di Rienzo). Ora sorge sul luogo una casa colonica. Ad un centinaio di metri dalla chiesetta, nella macchia, sgorga una sorgente perenne denominata Fontana Isa, in cui è facile riconoscere un originario Iside. A completare il quadro archeologico, risulta, dalle dichiarazioni raccolte, che nei pressi della vecchia chiesa, anni fa, venne alla luce una tomba in terracotta, ma senza scheletro.
L’ara di Iside è costituita da un monoblocco alto m. 0,88, lungo m. 0,63, profondo m. 0,50. La parte superiore consiste in un pulvino a volute, sotto il quale sono disposte ghirlande con bende sacrificali e bucrani agli angoli. Sulle quattro facce si susseguono diversi bassorilievi isiaci. Su quella anteriore, al di sopra e al di sotto della figurazione, su due linee, si svolge la seguente iscrizione: Ex testamento/ Aburenae Quarte/ sacra reddita.
Questa Aburena, una donna di condizione libera ed evidentemente agiata, con testamento lascia delle sostanze, affinché sia ripristinato il culto di Iside. Il gentilizio Aburenus non è altrimenti noto. Panciera propone per l’ara una datazione riguardante la prima metà del I° sec. d.C., in considerazione delle vicende del culto, rigettando la datazione augustea avanzata da Hermann. A me sembra, proprio tenendo conto di tali vicende, che si possa escludere anche il periodo di Tiberio e che l’unica datazione accettabile parta dall’ età di Caligola. Non mi sento d’altra parte di condividere l’interpretazione del sacra reddita data dal Panciera. Egli ritiene che le disposizioni testamentarie si siano attuate attraverso la consacrazione dell’ara ed il tributo di cerimonie di culto, affermando che rendere, nel linguaggio sacro, ha un significato “particolare” riguardo al quale egli porta la testimonianza del Lexicon di Forcellini. Già Hermann aveva avanzato l’ipotesi che l’iscrizione alludesse invece al ripristino del culto dopo un’interruzione forzata, pur avendo inquadrato l’avvenimento in una prospettiva storica discutibile. Per quanto mi riguarda, noto che la citazione del Forcellini non è del tutto corrispondente a quanto si legge nell’iscrizione e che rendere si può anche riferire proprio al ripristino “materiale” di un monumento o di un edificio. Ritengo quindi che Aburena abbia voluto con il suo lascito riaffermare il culto di Iside, dopo gli interventi ostili verificatisi in loco, probabilmente nel periodo di governo di Tiberio.
All’anno 107 d.C., per la citazione dei consoli Q. Licinio Graniamo e L. Vinicio Natale, ci riporta la già citata ed importante iscrizione rinvenuta nella “Villa Laterina”, prima conservata dal sacerdote Don Pasquale Proia, poi donata da Gennaro Grossi al Museo Borbonico di Napoli (ed ora nel Museo Nazionale di questa città). L’iscrizione fu interamente trascritta da Pasquale Cairo e poi pubblicata (C.I.L., X, 5670) dal Mommsen.
Vi si ricorda un’adunanza svoltasi a Sora, nella basilica di Cesare (edificio pubblico di cui si ignora la collocazione), durante la quale, in onore di Marco Vibio Autore, che per due volte era stato duovir quinquennale, in considerazione dei suoi meriti, si stabilì il conferimento di una tavola di bronzo e l’erezione di una statua. L’iscrizione di Fontana doveva comunque, essere una copia di quella originaria, un duplicato che Vibìo Autore aveva fatto sistemare nella sua villa in Laterio.
Agli inizi dell’alto medioevo, è databile un ripostiglio monetale, rinvenuto durante lavori compiuti nel Polverificio prima del 1899 a Fontana Liri e donato al Museo Civico di Brescia, nel gennaio 1899, dal Tenente Colonnello A. Benedetti.
Al momento del recupero, il ripostiglio comprendeva 150 monete gotiche e bizantine, in cattive condizioni di conservazione (solo 70 leggibili). Attualmente, se ne conservano nel Museo 72, tutte leggibili; altre due monete, una di Arcadio (383-408) ed una di Leone I (457-474), risultanti nèl Registro del Museo, non più reperibili.
Il tesoretto presenta datazioni dal 383 al 552 d.C., con le seguenti autorità emittenti: Arcadio, Leone I (già citati); Marciano, Anastasio, Giustiniano I, Atalarico, Tegolato, Vitige, Baduila, Trasamund (?), Hilderich (?). Le zecche individuate sono quelle di Costantinopoli, Nicomedia (?), Civico (?), Cartagine, Ravenna, Roma, Ticino. La relativa scheda anagrafica, compilata dal Museo, è stata riportata da G. Pistilli (Fontana Liri, pp. 49-50).
Il ripostiglio appare fondamentale per la ricostruzione storica di uno dei periodi meno conosciuti nella nostra zona.
Fontana Liri nell’età di mezzo.
In un atto notarile del luglio 1006 dell’Archivio di Montecassino, pubblicato nel 1897 da Alessandro Magliari, si cita un Giovanni del fu Albino, abitante nel territorio di Arpino “nella località denominata castello zapponi’. L’indicazione del toponimo come di una semplice località fa ritenere che la costruzione difensiva, realizzata nell’alto medioevo sulle più antiche murature di una villa romana, fosse già pressoché scomparsa. Riguardo al termine Zupponis, si è ipotizzato, ma senza dati precisi, che esso potesse riferirsi o al longobardo Zottone, che intorno agli anni 587-589 conquistò la zona, o a un certo Suppone (forse il duca di Spoleto dell’822). La più tarda espressione castro Scipione (che riguardava il borgo di Fontana Liri superiora e in particolare il castello medievale) è invece, chiaramente, una corruttela del più antico toponimo (Zupponis).
Più storicamente certe sono le notizie sulla “cella’ di S. Maria de Castello Zapponi, testimoniata dal 1110 (Bolla di Pasquale TI), ma la cui fondazione dovrebbe risalire al periodo che va dalla seconda metà del X secolo alla prima metà dell’XI, in cui nel territorio di Arpino è documentato un intenso programma di riorganizzazione fondiaria ad opera dei benedettini, con le celle di S. Silvestro, S. Benedetto de Colle de Insula, S. Lucia, S. Martino, che funzionavano come vere e proprie aziende agricole, ed inoltre con le chiese della Beata Maria Vergine in loc. Le Forme e di Sant’Andrea, ambedue con monastero.
L’epoca di costruzione del castello medievale è collegata, dopo il Mille, alla diffusione del termine castro, specifico in relazione al fenomeno del l’incastellamento, più che all’uso del toponimo “Fontana”, per la prima volta indicato nel 1142. Erano gli anni in cui i Normanni percorrevano da conquistatori il Lazio meridionale.
Il castello, poi denominato “Succorte”, sorse sullo scosceso monte di Santa Lucia, intorno al quale furono edificate le case del borgo, a sua volta più tardi circondato da una cerchia muraria.
Ai tempi dei re normanni, fu compilato un elenco di Baroni che sotto il regno di Guglielmo Il Buono erano tenuti a fornire uomini per la III Crociata. Vi risulta che il feudatario di Fontana, il conte Roberto di Caserta, doveva fornire due militi (che in genere facevano parte del ceto nobiliare). Dopo la crisi provocata da Ottone I Federico II confermò nel 1211 a Riccardo Conti, fratello di Innocenzo III, diversi castelli fra i quali era Fontana.
Successivamente, nel 1221; Tommaso, conte di Caserta, riconfermò diversi benefici (già precedentemente concessi dal suo bisavolo Roberto Maggiore e dal nonno Guglielmo) e ne stabilì altri a “chierici, milites e boni homines di Fontana”, con un documento, basilare per la storia del paese, indicato con il nome di Ascissa atque costituto (conservato nell’Archivio Caetani, 1221, n. 665).
Nell’atto di concessione era prevista una forte ammenda (dieci once d’oro a carico di coloro che, ricoprendo cariche amministrative, non avessero applicato quanto in esso stabilito). Dal documento si comprende che agli inizi dell’epoca fridericiana, si era ormai definita in Fontana la suddivisione nei diversi ceti dominanti, clero, nobili e boni homines (questi ultimi si distinguevano per livello di cultura e per il loro patrimonio). E anche notevole l’intervento del Conte a difesa dei cittadini di Fontana che in precedenza erano stati ingiustamente oppressi, contro quelle che erano le leggi e le buone tradizioni.
Mentre Federico II era impegnato nella quinta Crociata in Terra Santa, un esercito papalino, nel 1229, guidato dal Conte di Campania, piombò su Sora e da qui si impadronì sia di Arpino e di Fontana sia della Marsica. Nello stesso anno Federico Il, ritornato in Italia, riconquistò rapidamente i territori perduti e fra questi quello di Fontana.
Nel 1269 Fontana rientrò nel programma di Carlo I d’Angiò per la riorganizzazione dei castelli di Terra di Lavoro e di Abruzzo. Per essi, si fissavano le qualifiche dei castellani, il numero degli addetti per ogni fortificazione, l’ammontare degli stipendi e si davano direttive in relazione alle riparazioni da effettuare. Il castro di Fontana vi appare tenuto da un castellano scutifer. I castellani del Castro Sorelle (Sora) e del Castro Pescli Falconare (Arpino) erano milites e avevano quindi una maggiore dignità (una qualifica intermedia era quella di castellano scutifer); tuttavia, il castellano scutifer di Fontana, che aveva a sua disposizione otto inservienti, risulta più importante di quello della Civita Vecchia di Arpino con sei inservienti.
Con un diploma del 7 giugno 1289, Carlo II d’Angiò, riconoscendo i diritti spettanti a Riccardo del castro di Montenero (situato fra Arpino e Santopadre) su diversi paesi fra i quali Fontana, in base ad accordi precedentemente stipulati fra Carlo I e il Pontefice, concesse ai suoi figli il possesso dei feudi stessi. Alcuni anni dopo, però, nel 1295, il re trasferì diversi castelli (e fra questi Fontana e Atina) al conte Goffredo II Caetani, fratello di Bonifacio VIII. Fontana era allora obbligata ad una contribuzione annuale di 40 once d’oro.
Dalle Rationes Decimarum della Campania, abbiamo un quadro preciso della situazione delle diverse chiese che sorgevano a Fontana nel periodo 1308-1310. Sono citate: la vecchia chiesa (o cella) di Santa Maria de Castro Sypionis, che era tassata per un’oncia ed era quindi ancora la più importante di Fontana; le chiese di Santa Lucia, S. Andrea e S. Stefano, che congiuntamente pagavano dieci tarì; infine, il Rettore della chiesa di Santo Spirito doveva versare 6 grana.
Nel 1349, un grave colpo alla situazione sinora delineata fu inferto dal gravissimo terremoto che si abbatté sulla zona, avendo come epicentro Cassino, dove fu distrutta l’Abbazia. Fu allora raso al suolo il borgo medievale di Atina (sul Monte Santo Stefano), ma notevoli danni si ebbero, a largo raggio, da Fontana ad Alvito, Sora e Veroli.
Il centro fontanese ritorna alla ribalta nel 1451, quando il re di Napoli, Alfonso I d’Aragona, mentre con il suo esercito si dirigeva verso la Toscana, ammalatosi gravemente, fu trasportato da Campolato (Torre di Sant’Eleuterio) nel vicino Castello di Fontana, dove rimase per circa due mesi, sino al momento in cui, ristabilito, si trasferì a Trajetto.
Dal 1443 al 1461 Fontana fu sotto il dominio dei Cantelmo. A Nicolò Cantelmo, duca di Sora e di Alvito, successe il figlio Pier Giampaolo, che nel 1458 si schierò contro il re Ferdinando I d’Aragona, a favore degli Angioini. Sopraggiunse allora, in appoggio a Ferdinando I, un esercito papalino, guidato da Napoleone Orsini, che conquistò Sora, Isola, Castelluccio, Arpino e Fontana. Con un successivo contrattacco, gli eserciti uniti di Pier Giampaolo e di Antonio Caldora, riconquistarono Fontana, Arce ed altre terre, ma fu questa una vittoria effimera, perché nel 1461 un più potente esercito del Papa, condotto da Antonio Piccolomini e Federico di Montefeltro, assediò Castelluccio e costrinse alla fuga il Cantelmo, che dovette poi consegnare i castelli di Fontana e Casalvieri, come garanzia delle condizioni di pace.
In seguito a rinnovate azioni ostili del Duca di Sora, vi fu un ulteriore intervento di Napoleone Orsini e questa volta, dopo la capitolazione del castello di Isola, furono ceduti allo Stato Pontificio Sora, Arpino, Isola, Castelluccio, Fontana e Casalvieri. Il pontefice Pio Il, nel 1463, concedeva ad Aldo Conti, Signore di Valmontone, le Terre di Arce, Fontana, Santopadre e la Torre di Campolato. L’importanza del Castello fontanese in quest’epoca è sottolineata dal fatto che lo stesso Pio II, nei suoi Commentari (V libro), scriveva che i due “oppida” (centri fortificati) dì Fontana e di Casalvieri erano situati in posizioni idonee ed erano ben fortificati.
In seguito ad un accordo fra Ferdinando I d’Aragona ed il papa Sisto IV, nel 1472 il Ducato di Sora (comprendente Fontana) tornava al Regno di Napoli ed era assegnato a Leonardo della Rovere.
Storia moderna e contemporanea.
Il dominio della famiglia Della Rovere si prolungò sino al 1580. Durante questo periodo, seguito a rinnovate azioni ostili del Duca, i fatti storici importanti furono la prima e seconda “Congiura dei Baroni” e la discesa in Italia di Carlo VIII. Nel 1580 Francesco Maria della Rovere vendette il Ducato di Sora e di Arce a Ugo Boncompagni (poi papa Gregorio XIII), che lo acquistò per il figlio Giacomo. Interessanti sono, per quest’epoca, le notizie riguardanti Fontana, contenute nella “Descrizione dello Stato di Sora e suoi confini”, probabilmente redatta da un “officiale” del vescovado di Sora e indirizzata al duca Giacomo Boncompagni. Vi si legge che il paese “ha nel più alto una rocca di fabbrica antica e trista, tutta rovinata di dentro”, vi si contano circa 130 fuochi ed è “abitata da persone assai civili per villa e fa buon vino., ha parecchi molini da utile”. Proprio a proposito di mulini, nell’Archivio Boncompagni-Ludovisi, vi è una vasta documentazione che conferma il notevole sviluppo dell’industria molitoria fontanese nel secolo XVII. In uno stucco degli inizi del sec. XVII (Isola del Liri, Palazzo Boncompagni) il centro abitato di Fontana appare circondato dalle mura (su cui in parte si sono già impiantate abitazioni civili), con tre torrioni visibili, ed è dominato dalla massiccia ed articolata costruzione con due alte torri svettanti, una delle quali fornita di beccatelli. Per quanto riguarda la situazione amministrativa di Fontana, è da rilevare che durante il dominio feudale dei Boncompagni, nel paese vi era un Capitano che emetteva sentenze; queste potevano essere appellate a Sora ed erano quindi riesaminate a Napoli; nel 1650 Fontana divenne Università autonoma; al 1719 risale il bilancio più antico di questa Università (conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli). La mutata situazione urbanistica di Fontana può essere constatata in un’illustrazione del Cabreo del 1739 (conservato a Roma, presso l’Archivio del Gran Maestro dell’Ordine di Malta), nella quale il sistema di fortificazioni, che nel secolo precedente caratterizzava il paese, risulta ormai smantellato. Alla metà del secolo XVIII, il duca di Sora Gaetano I fece innalzare le acque del lago Solfatara, avendo intenzione di costruirvi uno stabilimento termale, iniziativa questa che non fu possibile realizzare per l’opposizione degli amministratori locali. Il duca dovette poi intervenire per costruire un muraglione che proteggesse i mulini fontanesi dalle alluvioni. In questo periodo, la Terra di Fontana risulta tassata per la somma di ca. 378 ducati, ma si è ormai alla fine del regime feudale. Nel 1806 Giuseppe Napoleone aboliva infatti ufficialmente la feudalità nell’Italia Meridionale. Nel Dizionario Geografico di Lorenzo Giustiniani, pubblicato fra il 1797 e il 1805, si precisa che la popolazione di Fontana superava allora i duemila abitanti. la tassazione che la riguardava “del 1532 fu di fuochi 73, del 1545 di 81 fuochi, del 1561 di 108 fuochi, del 1595 di 138 fuochi, del 1648 dello stesso numero, e del 1669 di 133 fuochi”. Nel periodo del brigantaggio, il territorio di Fontana fu coinvolto nel movimento delle truppe inviate per la repressione. Nel settembre 1806 reparti francesi, comandati da Forestier e dal Sig. Cavaignac, nel corso delle operazioni militari contro Fra’ Diavolo, si accamparono sul Colle di Fontana, probabilmente in località Giannetti. A salvaguardia del paese dai briganti, dopo l’Unità d’Italia, operò a Fontana la Compagnia della Guardia Nazionale (con 158 militi), fino al 1869 comandata dal capitano Pasquale Parravano. Dal Censimento del 1861, risultavano a Fontana 2366 abitanti. Con il R. Decreto 22 gennaio 1863 il paese modificava il suo nome originario in Fontana Liri. Alla fine del 1892 terminarono i lavori per la costruzione del Polverificio militare. Il nuovo stabilimento industriale, la cui fondazione inizialmente incontrò notevoli ostacoli locali, fu motivo principale di una profonda trasformazione. Gradualmente sorsero in adiacenza del Polverificio molte abitazioni, mentre la stessa economia di Fontana Liri da agricola diveniva prevalentemente industriale. Alla fine del 1931, pur continuando il paese ad essere considerato come un’unica aggregazione, si distinse fra Fontana Liri Superiore (il centro storico di origine medievale) e Fontana Liri Inferiore, il nuovo centro sorto presso il Polverificio e nella zona dove in epoca romana si estendeva la “villa Laterina”.
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Pagina aggiornata il 13/02/2024